Ha truccato più di trentamila donne: tantissime sconosciute, molte strafamose (attrici e cantanti). Nato a Enego, in provincia di Vicenza, ha iniziato la sua carriera lavorando per il teatro e la televisione. Intervista al truccatore delle dive, definito dal New York Times «il profeta del make-up»
Nel 1983 ha fondato la sua azienda di cosmetici, che oggi è presente in oltre 50 paesi nel mondo. Diego Dalla Palma è conosciuto per il suo approccio innovativo al make-up, che mira a valorizzare la bellezza naturale di ogni donna, creando look che siano allo stesso tempo sofisticati e alla moda. Il suo impegno verso la qualità e l’innovazione lo hanno reso una figura di spicco nel mondo della bellezza. Il look-maker italiano più stimato è anche un attento indagatore dello spirito umano: grazie a quel garbo, con cui penetra nell’intimo delle persone che si affidano a lui, riesce a tirarne fuori la bellezza più vera.
È stato probabilmente uno dei primi truccatori a uscire da dietro le quinte del mondo della moda e dello spettacolo. Come è successo?
È accaduto perché sono un irrequieto. Prima di occuparmi di cosmetica e di bellezza, ho svolto – per dieci anni – la professione di costumista e scenografo in RAI e in teatro. Quel mestiere mi ha aiutato a essere originale rispetto ad altri.
Il suo stile personale è molto riconoscibile. Come lo ha creato e poi, lo ha creato da solo o si è fatto aiutare da qualcuno nel definire la sua immagine? (So che può sembrare un controsenso per chi definisce l’immagine di altri ma lavorare su stessi è un’altra cosa, no?)
Sono sempre stato attento alla mia immagine, sin da giovane: è una caratteristica che mi ha trasmesso mia madre. Ma non ho mai badato a seguire modi o mode: ho sempre cercato di esprimere ciò che sono, la mia atipicità, la mia diversità. È stata una scelta che un po’ mi ha complicato la vita, ma sono soddisfattissimo d’averla fatta: mi ha distinto dagli altri. Ovviamente, ho seguito istinti e dettami suggeriti dalla mia identità. L’immagine, nel bene o nel male, rispecchia ciò che sono. C’è stato un tempo dove amavo un certo classicismo, poi mi sono orientato su due soli colori/non colori: il bianco e il nero (ciò che, in realtà, sono interiormente), per approdare, adesso, alla gioia che ricevo vestendomi con indumenti colorati. In realtà, da poco sono molto cambiato anche interiormente.
Il suo approccio nei confronti di chi la incontra è molto introspettivo. Da dove deriva?
Mi piace conoscere il genere umano. I miei simili e chi non è simile a me. E in questo c’è sicuramente la formula delle soddisfazioni che questo lavoro mi ha regalato. Amo conoscere gli altri cercando, e sperando di conoscere meglio me stesso.
Qual è stato l’elemento, la caratteristica che ha contato di più per la sua affermazione professionale e che rappresenta il suo tratto distintivo?
Credo di essere apprezzato perché sono sempre alla ricerca del merito e della credibilità. Possiedo un’infinità di testi su come si costruisce un’immagine, mi documento in continuazione: seguo, cercando di interpretarli, i codici e i dettami della moda, viaggio per essere sempre informato, vivo gli aspetti culturali del Mondo, adoro l’Arte, la Musica, il Cinema, il Teatro, il mondo del Design. Ma credo che l’elemento che mi distingue sia l’originalità. Quando mi dicono che sono un uomo strano, ne sono contento: è ciò che desidero essere. Ma singolari bisogna esserlo, non sembrarlo. Detesto, a questo proposito, l’omologazione.
Il New York Times l’ha definito «il profeta del make-up». Come ha curato negli anni la comunicazione e il brand personale?
Curo e tengo sotto controllo la comunicazione avvalendomi del supporto e della collaborazione di giovani, giovanissimi e anziani talentuosi, a volte apparentemente folli, preparati e curiosi della vita. Ho un animo e una mente innovativi, avveniristici, persino amanti del rischio e dell’incoscienza, a volte. Ogni mezzo di comunicazione l’affronto con curiosità. Ma, in realtà, amo il contatto fisico: un modo intramontabile e imbattibile per comunicare.
È attivo sui social ma quale strumento di comunicazione preferisce?
I social sono un mezzo straordinario solo se vengono usati per alimentare la propria crescita, non le proprie banalità e le proprie convinzioni, spesso presunte e stagnanti.
Photo: Marco Marré Brunenghi